IL MUSEO
Entrando nel salone principale spicca, quasi a benedire il visitatore, lo splendido arazzo, risalente ai primi anni del novecento, che riproduce la Madonna dell'olivo «Quasi oliva speciosa in campis». Questo famoso dipinto venne eseguito da Nicolò Barabino nel 1880 per la chiesa di Santa Maria della Cella di Sanpierdarena e fu reso famoso dalla Regina Margherita che ne fece dipingere una copia dall’artista, per averla con sé a Torino.
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento era di buon auspicio sistemare immagini di questo tipo a capo del letto degli sposi, così come fece "su notariu" a cui questo arazzo apparteneva.
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento era di buon auspicio sistemare immagini di questo tipo a capo del letto degli sposi, così come fece "su notariu" a cui questo arazzo apparteneva.
DOCUMENTI
Ma nella nostra costante ricerca non ci si è voluti fermare solo ai macchinari, infatti sono esposti anche tanti documenti storici riguardanti l’olio.
Tra gli altri, una rarissima bolla di carico del 1845 per il trasporto via mare di barili di olio da Viareggio a Livorno ed un annullo postale del 1930 che recita testualmente: “L’olio d’oliva italiano è il migliore del mondo” !!!.
Tra gli altri, una rarissima bolla di carico del 1845 per il trasporto via mare di barili di olio da Viareggio a Livorno ed un annullo postale del 1930 che recita testualmente: “L’olio d’oliva italiano è il migliore del mondo” !!!.
LA COLTIVAZIONE
Passiamo quindi ad osservare, attorno ad un vero albero d’olivo, nella parte che è dedicata all'olivicoltura, gli attrezzi che si utilizzavano un tempo per la coltivazione e la potatura: un aratro a trazione animale e vari serronis per il taglio dei rami e alcuni ferrus de pudai per eseguire la potatura.
La profonda tradizione nel Parteolla per la coltivazione dei nostri olivi è evidenziata anche da una preziosa fotografia che ritrae i partecipanti ad un corso d’innestatori "Is innestadadoris" tenuto a Dolianova intorno al 1900.
Molto interessante la raccolta di contenitori graduati che erano utilizzati, al posto della bilancia per la misura delle olive da avviare alla molitura.
La profonda tradizione nel Parteolla per la coltivazione dei nostri olivi è evidenziata anche da una preziosa fotografia che ritrae i partecipanti ad un corso d’innestatori "Is innestadadoris" tenuto a Dolianova intorno al 1900.
Molto interessante la raccolta di contenitori graduati che erano utilizzati, al posto della bilancia per la misura delle olive da avviare alla molitura.
L’unità di base era su moi equivalente a circa 35 kg d’olive del quale però non esisteva il contenitore graduato.
Per ottenere un moi si utilizzavano sa mesuredda e sa mesura equivalenti rispettivamente a 3,5 kg e a 14 kg.
Due mesuras, sommate a due mesureddas, facevano ottenere la quantità richiesta.
Una pressata completa era considerata una molinada ed era equivalente a tre mois, in peso circa 105 kg.
Il sistema di misure sa molinada cadde in disuso con l’introduzione del peso per le olive da molire e rimane solamente nel linguaggio comune dei vecchi agricoltori.
Un rarissimo bilico a tre assi dei primi del Novecento dimostra quest’evoluzione.
Per ottenere un moi si utilizzavano sa mesuredda e sa mesura equivalenti rispettivamente a 3,5 kg e a 14 kg.
Due mesuras, sommate a due mesureddas, facevano ottenere la quantità richiesta.
Una pressata completa era considerata una molinada ed era equivalente a tre mois, in peso circa 105 kg.
Il sistema di misure sa molinada cadde in disuso con l’introduzione del peso per le olive da molire e rimane solamente nel linguaggio comune dei vecchi agricoltori.
Un rarissimo bilico a tre assi dei primi del Novecento dimostra quest’evoluzione.
LA FRANGITURA
Il primo sistema per la frangitura delle olive è rimasto immutato per millenni.
Si trattava semplicemente di una pietra lavorata che veniva fatta ruotare intorno ad un asse centrale utilizzando la forza delle braccia per quelle di dimensioni ridotte, o un animale da soma, in genere un asinello, quale forza motrice.
Lo stesso nome sardo dell'asino “su molenti” deriva dalla mola a cui era legato.
La pietra utilizzata per la costruzione della molazza era sempre molto dura e scelta tra quelle presenti nel territorio.
Il materiale più diffuso per la sua realizzazione è senz’altro il granito. Molto più raro l’utilizzo di altre pietre, come quell’esposta, di provenienza oristanese, in basalto.
Per le parti di legno era utilizzato il ginepro, come in questo caso, o altre essenze meno dure e pregiate.
Con l’utilizzo di palette di legno il frantoiano spingeva la pasta sotto la pietra finché diventava omogenea e avveniva l’aggregazione delle particelle di olio.
Si trattava semplicemente di una pietra lavorata che veniva fatta ruotare intorno ad un asse centrale utilizzando la forza delle braccia per quelle di dimensioni ridotte, o un animale da soma, in genere un asinello, quale forza motrice.
Lo stesso nome sardo dell'asino “su molenti” deriva dalla mola a cui era legato.
La pietra utilizzata per la costruzione della molazza era sempre molto dura e scelta tra quelle presenti nel territorio.
Il materiale più diffuso per la sua realizzazione è senz’altro il granito. Molto più raro l’utilizzo di altre pietre, come quell’esposta, di provenienza oristanese, in basalto.
Per le parti di legno era utilizzato il ginepro, come in questo caso, o altre essenze meno dure e pregiate.
Con l’utilizzo di palette di legno il frantoiano spingeva la pasta sotto la pietra finché diventava omogenea e avveniva l’aggregazione delle particelle di olio.
Col passare del tempio alla forza animale si è sostituita quell’idraulica e poi elettrica, con conseguente aumento delle dimensioni e della capacità lavorativa, ma il principio di funzionamento è rimasto identico e viene ancora utilizzato nei frantoi che utilizzano questo sistema di molitura.
ESTRAZIONE DELL'OLIO
Una volta che la pasta aveva raggiunto il giusto grado di lavorazione, era inserita all’interno dei fiscoli, una sorta di sacche di forma circolare, i quali, sottoposti a pressione, permettevano l’estrazione del mosto formato dall’olio e dall’acqua di vegetazione presenti nelle olive.
Secondo il tipo di pressa si utilizzavano diversi tipi di fiscoli.
I primi furono quelli a sacca, chiamati anche sportine, che risalgono fin ai tempi dell’antico testamento.
Fino all’inizio del novecento le presse erano realizzate in legno e la pressatura era ottenuta a forza di braccia. Questo tipo di pressatura esigeva una mano d’opera specializzata e attenta. La torre dei fiscoli doveva essere omogenea e ben impilata per evitare che potesse pendere su di un lato e crollare di conseguenza.
Secondo il tipo di pressa si utilizzavano diversi tipi di fiscoli.
I primi furono quelli a sacca, chiamati anche sportine, che risalgono fin ai tempi dell’antico testamento.
Fino all’inizio del novecento le presse erano realizzate in legno e la pressatura era ottenuta a forza di braccia. Questo tipo di pressatura esigeva una mano d’opera specializzata e attenta. La torre dei fiscoli doveva essere omogenea e ben impilata per evitare che potesse pendere su di un lato e crollare di conseguenza.
Come per la frangitura l’evoluzione si è basata esclusivamente sull’utilizzo di materiali più idonei e sistemi meno dispendiosi d’energie.
Anche in quella esposta, nonostante sia in acciaio e venga azionata da una pompa idraulica, il principio di funzionamento è lo stesso del modello di legno.
Nei primi anni del 1900 si ebbe un’evoluzione basilare delle presse con l’introduzione della foratina (l’asse centrale intorno al quale si potevano impilare i fiscoli in tutta tranquillità e sicurezza) e sopratutto del carrello mobile che permetteva la preparazione della torre su di un carrello mentre la pressa era utilizzata per l’estrazione dell’olio da un altro.
All’esterno sono esposte presse idrauliche risalenti entrambi agli inizi del 1900 che consentono già l’uso di fiscoli a foro centrale e del carrello mobile. Questa tipologia di pressa è ancora in uso ancora in parecchi frantoi in Italia e all'estero.
In Sardegna questi sistemi estrattivi sono stati già abbandonati da parecchi anni, non permettendo, nonostante lo splendido aspetto coreografico, di ottenere olii di alta qualita per i problemi che comporta a livello di contaminazione e ossidazione delle paste in lavorazione.
Anche in quella esposta, nonostante sia in acciaio e venga azionata da una pompa idraulica, il principio di funzionamento è lo stesso del modello di legno.
Nei primi anni del 1900 si ebbe un’evoluzione basilare delle presse con l’introduzione della foratina (l’asse centrale intorno al quale si potevano impilare i fiscoli in tutta tranquillità e sicurezza) e sopratutto del carrello mobile che permetteva la preparazione della torre su di un carrello mentre la pressa era utilizzata per l’estrazione dell’olio da un altro.
All’esterno sono esposte presse idrauliche risalenti entrambi agli inizi del 1900 che consentono già l’uso di fiscoli a foro centrale e del carrello mobile. Questa tipologia di pressa è ancora in uso ancora in parecchi frantoi in Italia e all'estero.
In Sardegna questi sistemi estrattivi sono stati già abbandonati da parecchi anni, non permettendo, nonostante lo splendido aspetto coreografico, di ottenere olii di alta qualita per i problemi che comporta a livello di contaminazione e ossidazione delle paste in lavorazione.
SEPARAZIONE ACQUA/OLIO
Dopo la spremitura, il mosto ottenuto era raccolto in appositi recipienti il legno dove, con l’utilizzo di sassole veniva raccolto l’olio che, essendo più leggero dell’acqua di vegetazione, veniva a galla. Nei primi anni trenta una grande innovazione venne dall’introduzione del separatore centrifugo. La separazione dell’olio dall’acqua non avveniva più a mano ma una macchina eseguiva in lavoro in maniera del tutto automatica. In questa maniera si automatizzava l’estrazione e si ottenevano oli di maggior qualità limitando il tempo in cui avveniva il contatto con le morchie.
CONSERVAZIONE DELL'OLIO
Attualmente la conservazione ottimale dell’olio è quella con l’utilizzo di contenitori in acciaio inox ma, nel corso dei millenni, i contenitori più diffusi sono stati certamente quelli realizzati in terracotta.
In questo materiale erano sia realizzate le anfore romane utilizzata anche per il trasporto del vino, che i classici zirus della tradizione sarda e spagnola.
In tempi più recenti si sono utilizzati dei lamoni in lamiera zincata, rimasti in uso fino a pochi anni fa.
Quello esposto, di circa seicento litri di capacità, mostra sia la maestria dell’artigiano che lo realizzò che la potenza economica del proprietario che utilizzava recipienti di così ampia capacità.
Per poter estrarre l’olio contenuto in questi recipienti era necessario l’utilizzo di pompe che permettessero di pescare anche dal fondo del recipiente.
In questo materiale erano sia realizzate le anfore romane utilizzata anche per il trasporto del vino, che i classici zirus della tradizione sarda e spagnola.
In tempi più recenti si sono utilizzati dei lamoni in lamiera zincata, rimasti in uso fino a pochi anni fa.
Quello esposto, di circa seicento litri di capacità, mostra sia la maestria dell’artigiano che lo realizzò che la potenza economica del proprietario che utilizzava recipienti di così ampia capacità.
Per poter estrarre l’olio contenuto in questi recipienti era necessario l’utilizzo di pompe che permettessero di pescare anche dal fondo del recipiente.
Quella esposta nel museo, realizzata in lamiera zincata e risalente ai primi anni del 1900, era azionata agendo in maniera alternata sulla maniglia di comando..
ATTREZZATURE VARIE
Sino a pochissimi anni fa l’olio non veniva confezionato ma veniva venduto sfuso nelle botteghe.
Per la sua misurazione si utilizzavano appositi contenitori graduali realizzati in lamiera, dai più piccoli di circa 100cc a quelli di oltre dieci litri.
Fino agli anni sessanta nelle rivendite più grandi si utilizzavano anche delle apparecchiature simili a quelle qui esposte. L’olio, contenuto in due serbatoi posti all’interno, e mantenuto liquido da una lampadina elettrica, era fatto fluire in due contenitori graduati. Una volta ottenuto il quantitativo richiesto, agendo sugli stessi comandi si poteva riempire il contenitore di proprietà dell’acquirente.
Degli appositi cartelli, obbligatori per legge, indicavano le botteghe in cui si vendevano i vari tipi di olio.
Per la sua misurazione si utilizzavano appositi contenitori graduali realizzati in lamiera, dai più piccoli di circa 100cc a quelli di oltre dieci litri.
Fino agli anni sessanta nelle rivendite più grandi si utilizzavano anche delle apparecchiature simili a quelle qui esposte. L’olio, contenuto in due serbatoi posti all’interno, e mantenuto liquido da una lampadina elettrica, era fatto fluire in due contenitori graduati. Una volta ottenuto il quantitativo richiesto, agendo sugli stessi comandi si poteva riempire il contenitore di proprietà dell’acquirente.
Degli appositi cartelli, obbligatori per legge, indicavano le botteghe in cui si vendevano i vari tipi di olio.
BUROCRAZIA E DOCUMENTI
Dal 1966, con i primi contributi erogati dalla Comunità Europea ai produttori olivicoli, sono sorti enormi gravami burocratici per i frantoiani, durati sino al 2004.
Sono qui esposti alcuni dei registri utilizzati dall’”Oleificio Locci” nel corso degli anni.
Molto interessante, tra gli altri, quello del 1970 che presenta anche tutte le firme dei singoli produttori.
Negli anni anche i macchinari contabili si sono aggiornati dalla Totalia e Divisumma Olivetti si è passati al primo computer utilizzato in un frantoio oleario:
l'Apple ][e che a partire già dal 1983 permetteva di gestire il nostro oleificio.
Sono qui esposti alcuni dei registri utilizzati dall’”Oleificio Locci” nel corso degli anni.
Molto interessante, tra gli altri, quello del 1970 che presenta anche tutte le firme dei singoli produttori.
Negli anni anche i macchinari contabili si sono aggiornati dalla Totalia e Divisumma Olivetti si è passati al primo computer utilizzato in un frantoio oleario:
l'Apple ][e che a partire già dal 1983 permetteva di gestire il nostro oleificio.